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Il mesotelioma rappresenta un tumore raro che origina, nella maggior parte dei casi, dalla pleura che riveste i polmoni, seppure esso possa svilupparsi anche da altre membrane quali peritoneo, pericardio e tunica vaginale del testicolo. Nelle prossime sezioni sono riportate informazioni su questa malattia, comprese quelle riguardanti le principali tecniche diagnostiche ed i trattamenti disponibili in Italia.

Ogni anno nel mondo vengono diagnosticati circa 31.000 nuovi casi di mesotelioma. Nel 2020 sono stati diagnosticati circa 2000 casi di mesotelioma in Italia, con un rapporto uomini: donne di 3 a 1. Il picco di casi di questa malattia dovrebbe essere raggiunto, nel nostro paese, entro la fine della terza decade degli anni 2000. Il mesotelioma è suddiviso in tre principali sottotipi istologici: epitelioide, sarcomatoide, e bifasico. Essi rappresentano una quota pari al 70-85%, 10% e 10-25% dei casi, rispettivamente.

Un “fattore di rischio” è ciò che aumenta la probabilità che una persona possa sviluppare una certa condizione o malattia. Nel caso del mesotelioma, specie quello pleurico, il principale fattore di rischio è rappresentato dall’esposizione all’asbesto (o amianto). Il rischio di sviluppare la malattia aumenta tanto più si è esposti a tale sostanza. Va ricordato che l’esposizione aumenta la probabilità di sviluppare la malattia, ma non ne causa necessariamente l’insorgenza, così come è possibile che si sviluppi mesotelioma pleurico anche in persone non esposte ad asbesto. Esistono altri fattori di rischio quali esposizione ad altri minerali fibrosi presenti in natura (come l’erionite e la fluoro-edenite), radiazioni ionizzanti, nonché rarissime forme eredo-familiari come la BAP-1 tumor predisposition syndrome.  

 

La Legge 257 del 1992 ha messo al bando l’utilizzo di amianto in Italia, ed ha istituito il Registro Nazionale Mesoteliomi (ReNaM) che raccoglie tutti i casi diagnosticati nel nostro paese. Per tale malattia vi è infatti l’obbligo di segnalazione a tale registro nonché all’ASL competente da parte del medico che esegue la diagnosi.

Quando si parla di prevenzione vanno distinte:

  • La “prevenzione primaria”, che è finalizzata ad eliminare i fattori di rischio
  • La “prevenzione secondaria”, che mira ad anticipare il più possibile la diagnosi di una condizione, ad esempio tramite procedure di screening.

La legge 257 del 1992 rientra, in senso lato, nella prevenzione primaria.

Per quanto concerne la prevenzione secondaria, non essendo oggi disponibili indagini diagnostiche con sensibilità e specificità adeguate né , soprattutto, interventi terapeutici precoci sufficientemente efficaci tali da rendere possibile ed utile un programma di screening. Tuttavia, esistono indicazioni normative per la sorveglianza dei lavoratori esposti ad asbesto o per coloro che, per motivi occupazionali, possano esserlo.

Il mesotelioma pleurico origina dalle membrane (cosiddette “sierose”) che rivestono il polmone (pleura viscerale) e/o la parete interna del torace (pleura parietale). Le cellule di mesotelioma hanno la capacità di crescere in modo incontrollato, creando delle lesioni sulla pleura stessa e, in molti casi, versamento pleurico (ossia liquido all’interno del torace).  

Il mesotelioma pleurico, come detto, viene suddiviso in tre principali sottotipi istologici: epitelioide, sarcomatoide, bifasico. La recente classificazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) una nuova e rara entità denominata mesotelioma in situ, caratterizzato da assenza di invasività ma proliferazione di cellule con aspetto maligno.

Essendo una patologia rara è fondamentale che la diagnosi istologica sia eseguita in centri con elevata esperienza.

Tipicamente il mesotelioma pleurico viene diagnosticato in seguito alla comparsa di sintomi quali:

  • Dispnea (mancanza di fiato)
  • Tosse persistente
  • Dolore al torace
  • Perdita di peso
  • Stanchezza

Il mesotelioma pleurico può estendersi ad altri organi, in particolar modo alle ghiandole linfonodali, alla pleura del polmone non coinvolto, al pericardio (membrana che riveste il cuore), al peritoneo (membrana che riveste gli organi addominali), ed alla parete del torace.

In presenza di sintomi sospetti, è buona norma contattare il proprio medico di medicina generale per eseguire una visita ed eventuali accertamenti, quali ad esempio la radiografia o una TC del torace.

In ogni caso, per ottenere una diagnosi certa è necessario effettuare un esame istologico o citologico. Esistono diverse tecniche che permettono di eseguire una biopsia o un prelievo citologico:

  • Ago-biopsia (della pleura o di altre sedi di diffusione della malattia): previa anestesia locale, viene inserito un ago tramite guida radiologica su una sede di malattia per prelevare un campione della lesione sospetta
  • Biopsia endo-bronchiale eco-guidata (o EBUS, dall’inglese EndoBronchial Ultrasound-guided Sampling): un broncoscopio contenente una piccola sonda ecografica viene fatto passare attraverso la trachea per effettuare delle biopsie dei linfonodi, qualora le immagini degli esami radiologici abbiano posto il sospetto che la malattia si sia diffusa al loro interno. 
  • Toracentesi diagnostica: previa anestesia locale, viene inserito un ago nel torace collegato ad una sacca di raccolta, così da drenare il liquido pleurico per ricerca cellule tumorali

 

Poiché la diagnosi di mesotelioma è complessa, ottenere un campione istologico adeguato è fondamentale. Per tale motivo è spesso necessario ricorrere ad un esame denominato toracoscopia. Tale esame, eseguito in anestesia ed in sala operatoria, consiste nell’introduzione nel torace di uno strumento (toracoscopio) che permette di visionare la pleura ed effettuare biopsie mirate sulle aree sospette per presenza di malattia oncologica. Inoltre, durante tale esame, può essere eseguita una “pleurodesi chimica”. Tale procedura si basa sull’insufflazione di talco sterile all’interno della cavità pleurica con lo scopo di “incollare” la pleura viscerale a quella parietale, riducendo il rischio che si venga a formare nuovamente versamento pleurico.

Come per molte patologie oncologiche, anche il mesotelioma viene classificato secondo la cosiddetta stadiazione che comprende quattro stadi (da I a IV) che rappresentano malattie a diffusione, e pertanto gravità, via via crescente. Il sistema di stadiazione è denominato TNM, laddove:

  • Il parametro T rappresenta l’estensione del tumore pleurico;
  • Il parametro N rappresenta l’eventuale diffusione ai linfonodi loco-regionali;
  • Il parametro M rappresenta la presenza o meno di metastasi a distanza.

 

Lo stadio del tumore viene stabilito unendo i dati della biopsia (e di un eventuale intervento chirurgico o della toracosopia) e quello delle immagini radiologiche. Tra queste, vi è generalmente una TC del torace e dell’addome con infusione di mezzo di contrasto, che è fondamentale per avere delle informazioni di tipo morfologico, ossia una “fotografia” dell’aspetto del tumore, delle sue dimensioni e della sua eventuale diffusione in organi diversi dalla pleura. La TC verrà ripetuta, nel corso di un eventuale percorso di cura, con una cadenza prestabilita, al fine di monitorare la malattia e l’attività delle cure.

A volte, i medici possono ritenere utile anche un altro esame, ossia la PET, per completare le informazioni necessarie a definire lo stadio della malattia. Questo esame, a differenza della TC, fornisce delle informazioni sul metabolismo, e quindi sull’ “attività”, del tumore: la TC e la PET non possono sostituire una il ruolo dell’altra, ma piuttosto si completano a vicenda. 

Lo stadio del tumore è uno degli elementi che, insieme all’età, alle condizioni cliniche e all’eventuale presenza di altre malattie, saranno valutati dall’équipe multidisciplinare per decidere il trattamento più adeguato.

  • Chemioterapia

Il trattamento standard del mesotelioma pleurico è rappresentato dalla chemioterapia. Essa si basa sull’utilizzo di un derivato del platino (cisplatino o carboplatino) in associazione a pemetrexed. Generalmente vengono somministrati dai 4 ai 6 cicli di terapia (ogni somministrazione equivale ad un “ciclo”, e viene eseguita ogni 21 giorni).

La chemioterapia può, in alcuni casi, essere somministrata prima e/o dopo un intervento chirurgico sulla pleura. Tale scelta viene condivisa nell’ambito di gruppi multidisciplinari. Nei pazienti che abbiano già fatto chemioterapia con platino e pemetrexed, può essere proposta una seconda chemioterapia con altri farmaci (gemcitabina, vinorelbina, pemetrexed), ma va sempre valutata la possibilità di accedere a studi clinici sperimentali.

 

  • Chirurgia

La chirurgia del mesotelioma pleurico è sempre stata molto dibattuta in ambito scientifico e, ad oggi, è da valutare dopo attenta discussione multidisciplinare. Infatti, l’obiettivo della chirurgia del mesotelioma pleurico è una rimozione macroscopicamente completa, poiché non è possibile ottenere con certezza dei margini chirurgici dove la malattia sia assente. L’intervento chirurgico più utilizzato è la cosiddetta pleurectomia/decorticazione (P/D). Tale intervento prevede la rimozione della pleura parietale e viscerale, ma può includere anche la rimozione del pericardio (membrana che riveste il cuore) e di parte del diaframma (il muscolo che separa il torace dall’addome). Alcune scuole chirurgiche prediligono invece un intervento di pleuro-pneumonectomia extrapleurica (EPP). Quest’ultimo prevede la rimozione dell’intero polmone, della pleura, del diaframma, del pericardio e, talvolta, di alcune aree di parete toracica. Diverse casistiche suggeriscono che l’intervento di P/D sia gravato da minori complicanze post-operatorie. Va sottolineato che tali interventi vanno effettuati in centri di chirurgia toracica con adeguata esperienza nel trattamento dei pazienti con mesotelioma pleurico.

 

  • Radioterapia

La radioterapia rappresenta un’arma importante nel percorso terapeutico dei pazienti oncologici. Nell’ambito del mesotelioma pleurico essa può essere indicata per la palliazione di alcuni sintomi, quali ad esempio il dolore da infiltrazione del torace.

  • Immunoterapia

Recentemente sono stati resi disponibili dati interessanti circa l’utilizzo di alcuni farmaci immunoterapici (cosiddetti inibitori dei checkpoint immunitari) nei pazienti affetti da mesotelioma pleurico non operabile. Uno di questi studi dimostra la superiorità di una combinazione di tali farmaci (ipilimumab e nivolumab) rispetto alla chemioterapia, specie nei pazienti affetti da mesotelioma con istologia sarcomatoide o bifasica. Ad oggi tali farmaci non sono approvati in Italia per il trattamento di questa patologia. Sono inoltre in corso alcuni studi sperimentali che utilizzano chemioterapia in associazione ad immunoterapia. I risultati di tali studi, molto attesi, saranno disponibili nei prossimi anni.   

 

  • Cure di supporto

Le cure di supporto comprendono gli interventi volti a prevenire o trattare le complicanze della malattia e dei trattamenti, migliorando la qualità di vita. Lo scopo è quello di ottimizzare la prevenzione e il controllo dei sintomi fisici, psichici, sociali e spirituali della persona e della famiglia.

I sintomi fisici possono essere diversi (vd paragrafo dedicato) e le terapie di supporto che aiutano specificamente pazienti affetti da tumore del polmone sono numerose. Alcuni esempi sono: farmaci che agiscono a livello delle ossa volti a ridurre il rischio di fratture associate alla presenza di metastasi ossee; il posizionamento di endoprotesi tracheali o bronchiali (per alleviare dispnea e disturbi respiratori dovuti ad ostruzioni delle vie aeree), farmaci analgesici che aiutano il controllo del dolore, suggerimenti e integratori alimentari in caso di malnutrizione. 

Generalmente, è importante che le terapie di supporto vadano in parallelo con i trattamenti antitumorali: consentono di migliorare la qualità di vita e l’umore, di ottenere risultati migliori dai trattamenti e riducono il rischio di dover ricorrere a strategie più aggressive. 

Per ulteriori informazioni è possibile consultare e scaricare il libretto “Terapie di supporto nel Tumore del Polmone ↓” :

Che cosa è uno studio clinico?

Uno studio clinico (a volte indicato anche con il termine inglese di clinical trial o semplicemente trial) è una ricerca medica, che ha l’obiettivo di stabilire se un trattamento è efficace, se è da preferire a un altro e quali sono i suoi effetti collaterali.

Nello specifico gli studi clinici possono: 

  • Valutare l’efficacia di nuovi trattamenti
  • Valutare l’efficacia e la sicurezza dell’associazione di diversi trattamenti già approvati
  • Valutare nuove modalità/tempistiche di somministrazione dei farmaci per aumentarne l’efficacia o ridurne la tossicità
  • Paragonare l’efficacia di trattamenti diversi

La partecipazione a una sperimentazione clinica comporta che si debbano rispettare alcuni criteri di inclusione ed esclusione, che riflettono le caratteristiche della persona e della malattia, e che hanno l’intento di rendere omogenea la popolazione oggetto di studio. 

Le fasi di uno studio clinico


Tradizionalmente, la sperimentazione di un nuovo farmaco che precede la sua immissione sul mercato passa attraverso diverse fasi di ricerca. 

  • Fase I

Gli studi di fase 1 verificano se un nuovo trattamento è sicuro. Valutano infatti la tossicità acuta del farmaco e identificano la dose da impiegare nelle fasi successive. 

  • Fase II

Gli studi di fase 2 valutano l’attività terapeutica del farmaco. 

  • Fase III

Gli studi di fase 3 valutano l’efficacia del trattamento sperimentale, in termini di beneficio per il paziente, rispetto al trattamento standard.
Per essere approvato, il nuovo trattamento deve avere un’efficacia equivalente o maggiore dei trattamenti già approvati. In alcuni casi lo studio prevede una “randomizzazione”: l’assegnazione dei farmaci previsti nello studio clinico avviene cioè in modo casuale, evitando che il medico o il paziente stesso possano propendere per l’una o l’altra cura.

  • Fase IV

Una volta che il trattamento è stato approvato ed è in uso, esso può essere studiato ulteriormente. Nella fase IV gli studi considerano gli effetti collaterali, i rischi e i benefici del trattamento durante un arco temporale e in una popolazione più ampi. 

Come si partecipa ad uno studio clinico?

È l’oncologo di riferimento che valuta la situazione e propone al paziente di partecipare a uno studio clinico, ma la decisione finale spetta al paziente che sceglie se partecipare o se rifiutare. 

Per partecipare a una sperimentazione è prevista una accurata serie di valutazioni da parte del medico sperimentatore per verificare se un paziente possiede i requisiti richiesti dallo studio, i cosiddetti criteri di eleggibilità, ovvero criteri di inclusione ed esclusione che comprendono un lungo elenco di caratteristiche, tra le quali, la storia personale, il tipo e lo stadio della malattia, i trattamenti eseguiti, altre malattie concomitanti. I criteri di inclusione definiscono se un paziente può partecipare alla sperimentazione clinica; i criteri di esclusione definiscono la non idoneità alla sua partecipazione.

Ogni studio clinico deve essere approvato da un Comitato Etico che ne valuta attentamente la serietà e la correttezza scientifica, etica e di applicazione, affinché i pazienti non siano esposti a rischi.

Partecipando a uno studio clinico è importante conoscere tutte le informazioni al riguardo: come si svolgerà il trattamento, quali sono i possibili effetti collaterali, qual è l’obiettivo dello studio e quale potrebbe essere il beneficio rispetto alla terapia standard. Viene sempre richiesta la firma del consenso informato, che testimonia l’avvenuta informazione.  Prima di firmare è importante riflettere, confrontarsi con una persona di fiducia, come l’oncologo e i propri familiari.

Insieme al modulo del consenso informato, il paziente riceverà e dovrà firmare anche un documento per l’autorizzazione al trattamento dei dati personali durante e al termine della studio. Ogni dato del paziente, indispensabile per lo studio, verrà trattato garantendone la riservatezza dell’identità e l’anonimato.

È importante parlarne con il proprio oncologo di riferimento valutando la possibilità di accesso a studi clinici presso il proprio centro o presso centri di cura vicini.

Perché gli studi clinici sono importanti?

Gli studi clinici contribuiscono alla conoscenza e al progresso nella lotta contro le malattie. Le terapie più efficaci sono il risultato di studi clinici che hanno permesso di valutarne la sicurezza e l’efficacia prima dell’utilizzo nella pratica clinica.

Partecipare a uno studio clinico, quindi, è un’opportunità per ricevere cure all’avanguardia, potenzialmente efficaci per quella malattia, anticipando i tempi richiesti per la registrazione di un nuovo farmaco. Inoltre il paziente che partecipa allo studio clinico è sottoposto a cadenza regolare a visite ed esami, pertanto la malattia e il suo stato di salute sono molto controllati. La partecipazione agli studi clinici consente, inoltre, di dare un contributo alla società nello sviluppo di nuove conoscenze, senza le quali il progresso in campo medico non sarebbe possibile.

Dove posso trovare informazioni a riguardo? 

(https://clinicaltrials.gov/; https://www.clinicaltrialsregister.eu/ctr-search/search

GLI STUDI CLINICI IN ITALIA

L’associazione Italiana di oncologia medica (AIOM), impegnandosi nella promozione di informazioni e servizi per l’intera popolazione, ha creato una sezione di consultazione degli Studi Clinici in Italia, dedicata al pubblico e ai pazienti, oltre che ai professionisti di settore.

Si tratta di una Piattaforma web utilizzabile sia dagli oncologi sia dai pazienti, per un rapido accesso alle informazioni su tutte le sperimentazioni profit e non profit in corso nei centri di riferimento più vicini. Offre schede dettagliate su ogni Studio Clinico, complete di informazioni sui centri italiani partecipanti e sulle caratteristiche dello studio.

Di seguito il link d’accesso: https://studiclinici.aiom.it